I social rappresentano uno spazio libero di scambio e confronto e la comunicazione non può prescindere da questi se vuole lasciare il segno.
È un luogo in cui poter condividere le proprie opinioni, le proprie idee e la propria vita con un click. Tuttavia, è sempre necessario prestare attenzione agli eventuali risvolti negativi che si potrebbero celare dietro il loro utilizzo.
In questo articolo approfondiremo il rapporto tra rabbia e social, analizzando i meccanismi psicologici sottostanti che possono intervenire.
Scopriamoli insieme!
Rabbia e social: cosa dice la Psicologia
La Psicologia definisce la rabbia come un’emozione di base e universale, uno stato emotivo che si attiva a causa di stimoli esterni. È inoltre un’emozione relazionale, essa invita all’azione e interagire (M. Lewis).
Ma qual è il collegamento tra rabbia e social?
Possiamo identificare alcune dinamiche psicologiche che favoriscono la diffusione delle emozioni online:
- Polarizzazione di gruppo: le posizioni prese dal gruppo sono più estreme rispetto a quelle individuali
- Conformismo: ci uniformiamo alla maggioranza senza riflettere sulle nostre scelte
- Diffusione della responsabilità: in gruppo nessuno si sente personalmente responsabile
- Deindividuazione: tendiamo a identificarci solo come membri del gruppo
Tali fenomeni nascono all’interno dei gruppi: l’ambiente dei social, infatti, è paragonabile ad esso in quanto le sue dinamiche sono molto simili a quelle che regolano le interazioni reali.
In generale il gruppo è una “totalità dinamica” (Lewin, 1948), con proprie caratteristiche che sono qualitativamente diverse rispetto a quelle dei singoli individui che lo compongono.
L’individuo in un gruppo si identifica (ingroup); parallelamente crea relazioni e prova emozioni verso l’esterno (outgroup).
In questo contesto, l’emozione di rabbia può sia causare l’esclusione dell’outgroup sia essere il principale effetto dell’esclusione.
Molto spesso la rabbia online si manifesta attraverso l’utilizzo dell’anonimato. Il gruppo, infatti, è l’ambiente perfetto in cui celarsi dietro l’anonimato ma anche estendere la propria responsabilità agli altri (Zimbardo, 1969).
Per di più, l’anonimato crea “dissociazione” tra la vita online e quella offline; il fenomeno prende il nome di “Disinhibition effect”, tendiamo ad essere più audaci ed espliciti nelle relazioni virtuali.
Inoltre, la rabbia, spesso è una maschera di altre emozioni come tristezza, frustrazione o disturbi come la depressione. Le persone spesso tendono a confondere queste sensazioni, non riuscendo ad elaborarle in modo specifico e manifestandole attraverso l’aggressività.
Frenare la rabbia significa limitare la propria libertà?
La rabbia è un’emozione impetuosa, ma che può essere sicuramente gestita.
Il primo passo è imparare a riconoscere gli stati d’animo in atto e poi comprenderli attraverso il dialogo.
Sui social la libertà di parola, di condivisione e di espressione è fondamentale, tuttavia esistono dei limiti specialmente se si tratta di atteggiamenti non costruttivi.
Sia che agiamo rabbia, sia che ne siamo vittime, è fondamentale chiedersi da dove arrivi questa emozione e come gestirla in modo positivo e propositivo attraverso un dialogo con l’altro.
Approfondire i propri vissuti e i propri disagi può aiutare a lenire eventuali conseguenze negative sulla propria salute mentale.
Promuovere il benessere digitale è molto importante, ne parliamo qui.
Conseguenze della rabbia: lo shitstorm
La rabbia sui social può degenerare nel fenomeno chiamato “shitstorm“: un gruppo di persone manifesta online dissenso nei confronti di una persona, gruppo o azienda, attraverso commenti negativi che possono provocare danni alla reputazione.
Uno shitstorm celebre riguarda Aurora Leone dei “The Jackal”: l’influencer, invitata a partecipare alla Partita del Cuore, è stata messa da parte all’ultimo dal Direttore della Nazionale cantanti, in quanto donna. Tale decisione non è passata inosservata e ha scatenato l’ira del web. Inoltre non si tratta di un unico caso, potremmo riportare anche altri esempi di questo fenomeno…
A livello psicologico lo shitstorm può essere spiegato dalla polarizzazione: la maggioranza favorisce un certo risultato. Se la norma è polarizzante il gruppo si polarizza (Stoner, 1968):
in gruppo le persone tendono ad assumere posizioni più estreme rispetto a quelle che prenderebbero singolarmente.
Gli shitstorm possono inoltre sfociare in reati come la diffamazione o la calunnia. Ma attenzione perché nessuno sul web è invisibile, lasciamo sempre delle piccole briciole digitali.
Conclusioni
I social network sono estremamente rappresentativi della società moderna, sono uno spazio prezioso, in cui svagarsi e comunicare.
Ci permettono di essere ciò che vogliamo.
Per promuovere un utilizzo positivo è necessario lavorare sulle persone, sul loro buon senso, sull’empatia e sul rispetto a 360°, anche in un contesto digitale.
Dietro ad ogni profilo c’è una persona con una propria soggettività e una dimensione di vita reale.
Sui social siamo spesso bombardati da “vite perfette”, quando in realtà sappiamo che le nostre giornate sono un mosaico di emozioni, positive e negative, anche se sui social tendiamo a mostrare di più le prime.
Ricordiamoci che anche nel mondo online siamo persone che parlano a persone e la libertà di parola non implica la libertà di esprimere odio e rabbia verso l’altro.
E a te è mai capitato di ricevere rabbia sui social?
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