Scelgo dunque sono: come il Neuromarketing influisce sul nostro processo di decision making

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La libertà obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi.”

Così parlò Erich Fromm nel celebre saggio “Il Coraggio di Essere”. E aveva enormemente ragione!

Ogni giorno siamo chiamati a compiere numerose scelte, dal dove acquistare un prodotto al decidere se guardare un film al cinema o in streaming. Questi continui processi di decision making non sono soltanto legati a ad eventi transitori, ma contribuiscono tutti insieme a mostrare (e mostrarci) quale sia la nostra personalità!

Come fa il Neuromarketing a influenzare tutto ciò? Scopriamolo insieme.

Cosa significa davvero prendere una decisione?

Secondo Daniel Kahneman, autore di “Pensieri Lenti e Veloci”, il decision making è un meccanismo alquanto complesso, facilmente influenzabile dal contesto, dalle credenze e dagli istinti, ed è composto da tre fattori chiave

  1. Le alternative
  2. Le aspettative
  3. Le conseguenze

Tuttavia, un elemento cruciale, che fa pendere l’ago della bilancia per l’una o l’altra opzione, riguarda la gestione del rischio e dell’incertezza.

Come è possibile affrontarli, e così contenerli? 

Una possibile soluzione è il framing, ovvero una rappresentazione mentale di tutti gli eventuali effetti delle nostre decisioni. In altre parole, un’attenta valutazione dei pro e dei contro. Questo processo, però, potrebbe essere condizionato da bias cognitivi.

L’arma segreta per combattere (e vincere) i bias cognitivi

Che cosa sono, dunque, i bias cognitivi? Possiamo immaginarli come degli “shortcut”, ovvero dei percorsi mentali prestabiliti, che snelliscono e velocizzano i nostri processi di acquisto.

Il pro? Il risparmio di tempo e di energie. Si ha l’illusione di essere più produttivi, soddisfatti e in grado di avere il pieno controllo sui nostri desideri. 

Il contro? La mancanza di un ragionamento approfondito e complesso, che mette l’individuo nella condizione di scegliere consapevolmente ed in maniera informata.

In questo senso, la contestualizzazione è uno strumento fondamentale per avere una visione a 360° della situazione, più chiara e nitida. E più il framework si allarga, più siamo in grado di porci le domande giuste, utili a comprendere non solo quali siano i nostri bisogni reali, ma anche quali prodotti e/o servizi sembrino “cuciti su misura” per noi, rispondendo perfettamente alle nostre esigenze. 

Il risultato di porsi troppe domande? Una grande carica di stress emotivo, che sfocia in comportamenti ansiosi e ipervigilanti, oppure in atteggiamenti evitanti.

Dunque, qual è una soluzione vincente per superare il temuto “paradosso della scelta”? 

Lo psicologo statunitense Barry Schwartz ha posto l’accento sulla correlazione esistente tra pluralità di opzioni a disposizione dell’individuo e infelicità. Il senso di indecisione scaturito dalla necessità di assumersi delle responsabilità, difatti, porta l’essere umano a vivere in un perenne stato di insoddisfazione ed affrontare una “paralisi di analisi”, innescata dalla troppa libertà decisionale e dal loop infinito di what if che ne consegue.

In quest’ottica, il neuromarketing gioca un ruolo fondamentale per (ri)pensare le proprie strategie comunicative nel digitale.

Stop a messaggi generici e poco efficaci; via libera, invece, a campagne ad hoc personalizzate, frutto di processi di segmentazione e targeting mirati ad indagare e comprendere come la psiche umana acquisisce ed elabora le informazioni.

I bias cognitivi principali

Conosci i principali preconcetti che influenzano il nostro processo di decision making?

  • Il bias di ancoraggio fa leva sulla nostra tendenza innata di prendere decisioni basandoci sui primi risultati che troviamo in rete.
  • Il bias della riprova sociale stimola il nostro desiderio di omologarci alla massa, per paura di “essere tagliati fuori”.
  • Il bias di conferma, al contrario, agisce su un potente pregiudizio cognitivo, il quale ci porta a selezionare informazioni che arricchiscono e avvalorano il nostro punto di vista.
  • Il bias dell’ingroup gioca sulla nostra identità e sul senso di appartenenza ad uno specifico gruppo. In altre parole, prima di acquistare un prodotto, tendiamo a farci influenzare dalle opinioni e dalle recensioni dei nostri pari, che lo hanno comprato e testato prima di noi.
  • Il bias dell’avversione alla perdita, infine, ruota attorno al senso di urgenza, scatenato dalla paura di rischiare e di “lasciarsi scappare” un’opportunità.

Ma, quindi, come integrare i bias cognitivi nella propria strategia di comunicazione per renderla più efficace, senza essere manipolatoria?

La risposta giusta è “equilibrio”: l’abilità di bilanciare la conoscenza del cervello umano con la capacità di convincere le persone a scegliere il proprio brand.

Queste (non) sono delle conclusioni

In occasione dei Mondiali del 2014, Barilla ha realizzato una campagna media, che sfrutta il real-time marketing (letteralmente “marketing in tempo reale”) per raccontare, in maniera giovane e fresca, i propri prodotti.

Gli ingredienti segreti di questo successo? Uno storytelling emozionale, che fa leva sui bias della riprova sociale e dell’ingroup, unito a colori che consolidano la brand identity, con l’obiettivo di omaggiare l’italianità e i piatti della tradizione, con autoironia e leggerezza, senza cadere nel campanilismo.

Missione fidelizzazione? Riuscita! E i risultati “da capogiro” sembrano confermarlo: più di 13.000 di interazioni, più di 6.000.000 di utenti unici raggiunti, 8 milioni di impression e un più 2% del fatturato!

Sulla scia di questo esempio, hai compreso l’importanza che il neuromarketing può avere nel rendere una pubblicità così efficace?

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Linda Cocco
Non sforno solo deliziose sfiziosità gluten free, ma anche copy a puntino per tutti i tuoi post.
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